Fra i maggiori artisti italiani del secolo scorso, Fausto Pirandello (1899-1975) è autore votato a un’aspra visione della realtà e insieme a un sogno capace di trasfigurare questa stessa realtà, trasportandola in una dimensione ove albergano il rito, il mito e l’allucinazione. La sua figura, dopo la frequente e rilevante attività espositiva che ne ha contrassegnato tutta l’esistenza (alla Biennale di Venezia, in particolare, e alla Quadriennale di Roma) e dopo il tempestivo riconoscimento dell’ampia antologica che la Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma gli ha destinato subito dopo la morte (1976), è stata rivisitata da importanti studi recenti. La presente mostra alle FAM di Agrigento documenta per la prima volta in modo puntuale, attraverso un nucleo di circa sessanta opere tra quadri e disegni, uno degli snodi più rilevanti della ricerca dell’artista, quello compreso negli anni della seconda guerra mondiale. All’indomani della morte del padre Luigi, nel 1936, si chiude il periodo più interrogante e sospeso della ricerca di Pirandello, un periodo influenzato insieme dall’arte etrusca, dalla metafisica dechirichiana, dall’esempio di Picasso e di Braque, e dal surrealismo, che il pittore ha conosciuto a Parigi alla fine degli anni Venti. Questa prima fase del suo lavoro è documentato in mostra da alcune esemplari opere eseguite tra gli anni Venti e i primi anni Trenta. Dalla seconda metà del decennio fino al 1945 s’apre invece per Pirandello un tempo coeso, caratterizzato dal senso d’un oscuro dolore e da una intensa drammaticità: tempo nel quale l’immagine accede a un dilacerato espressionismo, che si pone in sintonia con le punte più avanzate della coeva ricerca romana (di Mario Mafai e del giovane Renato Guttuso), quasi avvertendo in anticipo il dramma della guerra.
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